MINIMA DEVOTIO - Centro di documentazione e raccolta sulla devozione

Minima Devotio

4 dicembre 

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4 dicembre 2024
Oggi è scomparso l’amico Bruno Gitti custode di tante storie .
Questa sotto in buona parte raccontata da Bruno , Bruno della Pia .

La storia del pilastrino più pacifico della linea Gotica
Settembre 1944 - Il carro armato era condotto da una pattuglia tedesca nella strada che collega la Napoleonica con le Ceragne, alle porte di Monghidoro. Il compito dell'equipaggio era di cannoneggiare l'avanzata alleata sul crinale di Monte Venere. Il carro avanzava verso la strada Napoleonica, sparava un paio di colpi, poi arretrava verso le Ceragne e si fermava in un nascondiglio mimetizzato dalle frasche. In una di queste manovre fu intercettato da un ricognitore USA in volo sulle linee tedesche; il pilota americano allertò via radio le artiglierie in stanza sulla Raticosa e i semoventi americani in avvicinamento al fronte.
La pattuglia tedesca comprese di essere stata scoperta e, avendo terminato munizioni e carburante, in tutta fretta abbandonò il carro. I carristi tedeschi con passo svelto salirono sulla collina di fronte a Cà di Sartino, poi si incamminarono verso Madonna dei Boschi. Pochi minuti dopo la fuga incominciarono i bombardamenti: due potenti cannonate finirono a una decina di metri dal carro; anticipata da un sibilo sinistro, arrivò una terza cannonata, che prese in pieno il carro con un'esplosione dirompente. Decine di pezzi metallici e schegge finirono sulla Napoleonica e sulla statale; solo il cannone rimase intero e volò sopra la Capannina, nei Balzi di Carlino, finendo la sua corsa quasi giù alla cava.
Questo è il primo tempo del racconto, la cui testimonianza si deve al fratello di Dorino, che abitava alle Ceragne e assistette al teatro di guerra; fu lui a raccontare i fatti per filo e per segno a Giovanni Gitti, proprietario della casa "la Capannina ", rimasta indenne nonostante i bombardamenti e l'esplosione del carro.
Poi la storia è andata avanti e tutti sappiamo come. La Liberazione, l’Italia diventata repubblica, la ricostruzione, la popolazione che si rimboccò le maniche a Monghidoro come nel resto d'Italia.
Con questo spirito del dopoguerra un bel giorno Giovanni Gitti, che ben sapeva dove trovare il cannone laggiù nei balzi, decise di riportarlo a monte. Si organizzò con delle funi, un paio di mucche e due uomini. Quando il cannone fu imbragato, Giovanni diede il via alle operazioni di recupero. Ma niente da fare. Nonostante la fatica, le due mucche e i due uomini, il cannone non fu issato. Giovanni chiese aiuto ai vicini delle Ceragne, che si presentarono con altre due mucche e altre corde. O issa...o issa...lentamente e faticosamente il cannone arrivò sull'aia della Capannina.
Nei giorni successivi Giovanni pensò di "convertire" lo strumento di guerra per farne uno di quei pilastrini di devozione e di ricordo tipici del nostro Appennino. Posizionò in verticale il cannone e sulla sommità fissò una piccola edicola votiva con una Madonnina di ceramica.
Nel frattempo il Ministero della Difesa incaricò alcune ditte di recuperare i residuati bellici e i relitti di automezzi coinvolti nella guerra sulla Linea gotica. Una mattina arrivò da Gitti un camion da cui scesero due incaricati al sequestro del cannone, con tanto di documento scritto; ma il peso del cannone era tale che la ditta se ne tornò a mani vuote. Dissero però a Giovanni che sarebbero tornati a recuperarlo. Nel frattempo le giornate scorrevano, stagione dopo stagione, il pilastrino fu ancorato a terra e qualcuno vi deponeva un fiore.
Un bel giorno d'estate la ditta incaricata si presentò nuovamente con un camion più grande e tre uomini risoluti. Giovanni si oppose pacificamente, dicendo che il cannone ormai era diventato un'altra cosa, un pilastrino di devozione; visto che gli uomini della ditta erano decisi a requisirlo, chiese aiuto ad Alfredo Monti detto Fredo (il babbo di Marcello e Mirco ), che si trovava lì vicino a lavorare nella casa dei Menetti. Fredo abbandonò il cantiere e in canottiera corse incontro agli uomini con aria di sfida. La sua prestanza fisica, il badile in mano e quattro grida potenti fecero desistere gli incaricati dal compiere il sequestro. I tre si allontanarono borbottando, chiusero il cassone desolatamente vuoto, misero in moto il camion e se ne andarono.
Negli anni '60 la Madonnina in ceramica originale fu sostituita con una statuina, perché anche in Appennino si diffusero i furti di queste immagini devozionali antiche.
La prima Madonnina in ceramica è ora in un luogo sicuro, custodita da Bruno Gitti. Il cannone invece, il pilastrino più pacifico della Linea gotica, è ancora lì beatamente eretto nel cortile della famiglia Gitti, alle porte di Monghidoro.
Nei giorni scorsi mi sono giunti diversi racconti dalla famiglia Gitti, che ha sempre tramandato oralmente la storia del pilastrino e che ora la offre per iscritto, a futura memoria.
Ringrazio per le informazioni preziose tutti i Gitti, che hanno il dono della buona memoria: Giorgio, Carlo, Andrea, Bruno (il cui messaggio vocale, colorito di alcune magnifiche frasi in dialetto monghidorese, ha reso vivido il racconto).
Ringrazio il primo narratore di questa vicenda: il fratello di Dorino, di cui spero mi venga presto rivelato il nome ( Santino ) .
Ringraziamo Giovanni Gitti, che ebbe questa idea meravigliosa di convertire un pezzo bellico in pilastrino devozionale.

testo e foto  Alberto Bassano Vaioli